Nives MEROI


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abito in paradiso

RACCONTI

PREFAZIONE AL LIBRO “ABITO IN PARADISO” di Chantal Mauduit

ABITO IN PARADISO
PREFAZIONE AL LIBRO “ABITO IN PARADISO” di Chantal Mauduit“Già torna a scuotermi Eros chescioglie le membra,dolceamara, indomabile, oscurabelva.”(Saffo)Una vita ricca, quella vissuta da Chantal Mauduit. Una vita vissuta tanto intensamente da essere quasi difficile da “perdonare”. “…vivi la vita fino in fondo, lascia che la passione abbia libero sfogo, la passione che non ha mai rimato con ragione e non comincerà certo a farlo con gli alpinisti!”. Questo ci confessa Chantal; Chantal che ha visto l’Himalaya, che ha vissuto con tutti i sensi il paesaggio, le scalate, il sole, la luna e gli incontri. Un viaggio reale e sognato, lungo un percorso che scivola all’indietro, per cogliere il momento cruciale, al cuore di una passione, quando l’alpinismo diventa semplicemente il calice che porta alla bocca l’acqua della vita. “Da queste spedizioni multicolori…ho imparato, ho capito qualcosa, forse molto, appassionatamente, alla follia!”.Non ho conosciuto Chantal. Ci saremmo potute incontrare nel ‘98 al Nanga Parbat, la Montagna Nuda. Ma lei non c’era già più, se n’era andata poco tempo prima, durante la salita al Dhaulagiri.L’ho fatto adesso, leggendo questo libro: all’inizio è stato un incontro difficile, quasi conflittuale, ma lentamente si è rasserenato; riga dopo riga mi sono avvicinata a lei e al suo cuore, così diverso, forse così simile al mio.“ABITO IN PARADISO” è il complesso racconto del suo viaggio, una sinfonia in cui il suono di ogni strumento ha vita a sé e armonicamente da vita alla sinfonia stessa: qualsiasi sintesi non potrebbe che impoverirlo.Nell’arco di un tramonto nel cielo himalayano Chantal fruga tra brandelli di ricordi, immagini, colori e odori e in un intreccio apparentemente casuale si affollano alla memoria le montagne, i viaggi e le spedizioni.Questo libro è un crescendo fittissimo di sensazioni e suggestioni catturate con maestria, di letture coniugate con esperienze dirette, in cui il racconto scivola lungo le pagine mimando la molteplicità dell’esperienza che si affolla alla memoria, e rompendo la successione lineare del tempo fino a farci dimenticare persino la disposizione del discorso.Ci tiene per mano Chantal, per condurci verso un modo diverso dell’essere e del corpo, un modo non gerarchico: prima frammentato e poi ricomposto nell’armonia della sua continua molteplicità e diversità.Un viaggio ricco ed essenziale: a piedi. Sono poche le persone che amano viaggiare a lungo; viaggiare così è una frattura continua di tutte le abitudini e soprattutto, una smentita incessante a tutti i pregiudizi. A piedi le distanza non sono più calcolate in ore ma in giorni. La lentezza con cui ti sposti fa rinascere la curiosità per i particolari, fino a farti percepire quanto è vasto il mondo e soprattutto quanto è complessa la varietà di genti e culture che lo popolano: proprio quella varietà su cui si regge l’equilibrio del mondo e che la follia del nostro tempo tenta, giorno dopo giorno di annullare.E’ un viaggio incalzante il suo, dentro e fuori dalla nostra società: una società caratterizzata dalla cecità indotta dal recingere, delimitare, censurare. Una società che contrappone muro a muro; una società forte di un sapere che si basa proprio sull’esclusione delle altre forme di conoscenza. La “città” da sempre maschile, ha piegato il femminile alle sue modalità di comportamento e anche le donne che si ribellano, per poter dare forma al loro dissidio, devono introiettare i comportamenti maschili e una cultura che conosce solo l’aut-aut. Chantal si scinde fra tendenza alla conformità e necessità di dissonanza.Chantal scruta dentro e oltre il muro della nostra società, dentro e oltre i suoi cordoni di morale e regole sociali; ma il suo è uno sguardo rovesciato, rovesciato sull’ io femminile, sulle profondità più scure del corpo e di quel groviglio di pulsioni che chiamiamo anima. “Una maschera di fiamme, fuoco qui ed ora, fiamma libera, bocca libera, occhi liberi, la vita da guardare, parlare, da mangiare, da inghiottire, da infiammare!”Questo viaggio è il percorso di una donna che impara a “vedere” a dispetto della volontà degli uomini e degli dei, e in un’ epoca in cui le donne hanno perso ogni autonomia in quest’arte, Chantal aspira ad uno sguardo e ad una voce autonomi. Perché la cultura dell’oppressione e della soppressione è ormai dentro di noi; è principio logico, abitudine percettiva, modalità del porsi domande e del rispondersi, è linguaggio. Si è installata nei fondamenti della conoscenza, è riconoscibile in ciò che le categorie del sapere hanno incluso e nell’Altro che hanno escluso. Ma esiste una “Terza Via”, che può reintrodurre nel ciclo della vita ciò che il sapere vincente esclude: “ non è una porta, è orizzonte, orizzonte di luce, basta aprire gli occhi che l’infinito distende le ali: in alto, in basso, in bello. (…) bisognerà discostarsi ogni giorno al di là di ogni cliché, al di là della storia. Dotato di un occhio nuovo di bimbo, di acutezza estremizzata, l’uomo percepisce l’essenza di ogni gesto lontano dal suo schematismo razionale.”: sono le persone che coltivano la capacità di vedere ormai sommersa dal nuovo tempo. E’ un dono tutto umano questo, che la società corrompe e tacita, il dono di attivare l’intero nostro corpo, di vedere e dire il reale, di lasciar apparire sul verso di un’immagine il suo rovescio non visibile, non accontentandosi dei simulacri. “Dalla tempesta bisogna estrarre il suo senso assoluto, la forza sprigionata dalle differenze di potenziale. Dalle differenze di cultura, di razza, di colore…come non riuscire a separare l’arco di luce umana, il lampo della disparità, il tuono della eco delle lingue delle musiche delle poesie?”.



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